Anche il conviente more uxorio ha diritto agli utili dell'impresa di famiglia se vi lavora in maniera continuativa? La Suprema Corte passa la palla alla Corte Costituzionale

    


     Le Sezioni Unite Civili, pronunciando su questione di massima di particolare importanza (rimessa dalla Sezione Lavoro con l’ordinanza interlocutoria n. 2121 del 24 gennaio 2023), hanno dichiarato rilevante e non manifestamente infondata – in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 35 e 36 Cost., all’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ed all’art. 117, comma 1, Cost., in riferimento agli artt. 8 e 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo – la questione di legittimità costituzionale dell’art. 230 bis c.c., norma che, al primo comma, dispone che «il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato» e, al terzo comma, indica che «ai fini della disposizione di cui al primo comma si intende come familiare il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo; per impresa familiare quella cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo», ma non include nel novero dei familiari il convivente more uxorio.

    Muovendo dalla preliminare considerazione riguardante l’inapplicabilità ratione temporis dell’art. 230 ter c.c. (introdotto dall’art. 1, comma 46, l. n. 76 del 2016), peraltro insuscettibile di applicazione o di interpretazione retroattiva, il dubbio di legittimità costituzionale concerne la potenziale irragionevolezza del trattamento differenziato del lavoro prestato nell’impresa dal convivente rispetto a quello del familiare, che non può essere superato dalla S.C. mediante un’interpretazione estensiva – e conforme alla Costituzione, alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e ai principî enunciati dalla Corte EDU – dell’art. 230 bis c.c. in ragione dell’insuperabile testo della disposizione e dei rischi di distonia del sistema ingenerati da una siffatta lettura. 

    Così facendo la Suprema Corte ha Sezioni Unite ha rimesso gli atti alla Corte Costituzionale, al fini della valutazione della legittimità costituzionale dell'art. 230 bis c.c. nella parte in cui non include il convivente more uxorio rispetto al famigliare in materia di lavoro prestato nell'impresa famigliare.

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