Terzo Settore: l'Associato può lavorare per l'ODV? L'interpretazione del Ministero dice di no.
Il Ministero del Lavoro con la nota Nota 18244 del 26 novembre 2021, ha risposto ad alcuni quesiti rilevanti, anche sulla possibilità che gli associati di una ODV svolgano per conto della stessa una prestazione
lavorativa retribuita (di natura dipendente o autonoma).
Con riguardo alla possibilità per le ODV di ricorrere, nei limiti di cui all’articolo 33, (sul punto vedi articolo del nostro sito al seguente link) a prestazioni retribuite svolte dai propri associati, il Ministero opera una distinzione tra ODV e APS, per la quale ultima la facoltà è attribuita esplicitamente dall'articolo 36 del CTS mentre, per le ODV, pur non sussistendo un divieto espresso nell'articolo 33 comma 1, non è presente comunque analoga disposizione.
Il Terzo settore, ci dice il Ministero, pur delimitato da un perimetro definito dal legislatore, non presenta affatto, al proprio interno, una totale uniformità tra le varie tipologie di assetti possibili: spetta, anzi, agli enti stessi, facendo uso dell'autonomia ad essi riconosciuta, individuare (anche variandola nel tempo se necessario) la tipologia organizzativa che meglio consente a ciascuno di essi, in un determinato momento della propria vita, lo svolgimento delle attività prescelte e la realizzazione delle finalità generali proprie degli ETS, ma declinate da ciascuno secondo le proprie specificità e la propria storia e identità, poste alla base del rapporto associativo e/o della destinazione patrimoniale. Ciò, però, non deve intendersi, in concreto, come un’attenuazione delle distinzioni esistenti tra le diverse tipologie di enti (ciascuna di esse, al contrario, mantiene la propria identità, ad esito di un lungo percorso storico e giuridico), quanto piuttosto nell’individuazione, a fianco di enti caratterizzati da disciplina più rigorosa, di enti meno rigidamente regolamentati; nella modulazione, per ciascuna delle diverse tipologie, di un regime differenziato sulla base di caratteristiche specifiche, mantenendo peraltro un complessivo favor del legislatore verso lo svolgimento, con modalità sussidiarie rispetto a quelle degli enti pubblici, per finalità ritenute meritevoli, senza fini di lucro, di un range di attività, puntualmente individuate come di interesse per la collettività.
Sulla base di questa logica, a fronte di specifiche differenze tra gli enti, la previsione di regimi diversificati, fondati sulla correlazione tra benefici e vincoli, sulla proporzionalità tra i primi e i secondi, sul mantenimento di questi ultimi, ove necessari a preservare, pur aggiornandole, identità specifiche frutto di situazioni risalenti nel tempo, non può essere considerata fonte di discriminazione.
Con riguardo alla possibilità per le ODV di ricorrere, nei limiti di cui all’articolo 33, (sul punto vedi articolo del nostro sito al seguente link) a prestazioni retribuite svolte dai propri associati, il Ministero opera una distinzione tra ODV e APS, per la quale ultima la facoltà è attribuita esplicitamente dall'articolo 36 del CTS mentre, per le ODV, pur non sussistendo un divieto espresso nell'articolo 33 comma 1, non è presente comunque analoga disposizione.
Il Terzo settore, ci dice il Ministero, pur delimitato da un perimetro definito dal legislatore, non presenta affatto, al proprio interno, una totale uniformità tra le varie tipologie di assetti possibili: spetta, anzi, agli enti stessi, facendo uso dell'autonomia ad essi riconosciuta, individuare (anche variandola nel tempo se necessario) la tipologia organizzativa che meglio consente a ciascuno di essi, in un determinato momento della propria vita, lo svolgimento delle attività prescelte e la realizzazione delle finalità generali proprie degli ETS, ma declinate da ciascuno secondo le proprie specificità e la propria storia e identità, poste alla base del rapporto associativo e/o della destinazione patrimoniale. Ciò, però, non deve intendersi, in concreto, come un’attenuazione delle distinzioni esistenti tra le diverse tipologie di enti (ciascuna di esse, al contrario, mantiene la propria identità, ad esito di un lungo percorso storico e giuridico), quanto piuttosto nell’individuazione, a fianco di enti caratterizzati da disciplina più rigorosa, di enti meno rigidamente regolamentati; nella modulazione, per ciascuna delle diverse tipologie, di un regime differenziato sulla base di caratteristiche specifiche, mantenendo peraltro un complessivo favor del legislatore verso lo svolgimento, con modalità sussidiarie rispetto a quelle degli enti pubblici, per finalità ritenute meritevoli, senza fini di lucro, di un range di attività, puntualmente individuate come di interesse per la collettività.
Sulla base di questa logica, a fronte di specifiche differenze tra gli enti, la previsione di regimi diversificati, fondati sulla correlazione tra benefici e vincoli, sulla proporzionalità tra i primi e i secondi, sul mantenimento di questi ultimi, ove necessari a preservare, pur aggiornandole, identità specifiche frutto di situazioni risalenti nel tempo, non può essere considerata fonte di discriminazione.
Alla luce di quanto sopra, è possibile formulare alcune considerazioni relative alle ODV e APS
e alla loro particolare collocazione rispetto ai restanti enti del Terzo settore.
Entrambe hanno forma giuridica necessariamente associativa; per entrambe sono previste analoghe limitazioni relativamente alla tipologia di enti che possono accedere alle rispettive basi associative, così da garantire una prevalente omogeneità tra la qualificazione delle stesse e quelle dei relativi enti aderenti; per entrambe (e solo per esse), nell’ambito delle associazioni del Terzo settore, è posto l’ulteriore requisito della necessaria prevalenza dell’operare volontario delle persone associate o di quelle associate agli enti che ad essi aderiscono; solo per esse, conseguentemente, opera il limite al ricorso di prestazioni retribuite. Deve dedursene, nella logica sistematica prima richiamata, che in tali tipologie, diversamente da quanto previsto per gli altri ETS, la presenza dei volontari è necessaria e non soltanto eventuale. La regola generale è infatti che gli ETS “possono” avvalersi di volontari (art. 17 comma 1), mentre la regola specifica, comune ad entrambe, è che le stesse debbano avvalersene, nell’operare, “in modo prevalente”.
In altri enti a disciplina specifica, le imprese sociali, collocate all’estremo opposto di una ideale linea sulla quale collocare le varie tipologie di enti, la regola è ribaltata: le imprese sociali “possono” avvalersi di volontari, ma il numero degli stessi non può superare quello dei lavoratori; rispetto alle prestazioni di questi ultimi, inoltre, le prestazioni dei volontari devono mantenere caratteri di complementarità e non sostituibilità (art. 13 comma 2 del d.lgs. n.112/2017).
Oltre agli elementi che accomunano ODV e APS rispetto ai restanti ETS, deve prestarsi attenzione alle distinzioni tra le due tipologie poste dal Codice.
Con specifico riguardo ai limiti numerici posti dal Codice, nel caso delle ODV il limite è unico (rapporto dipendenti/volontari); per le APS vi è la possibilità di far riferimento al rapporto dipendenti/volontari o in alternativa al rapporto dipendenti/associati.
Le ODV svolgono le proprie attività “prevalentemente in favore di terzi”, le APS possono operare indifferentemente “in favore dei propri associati, di loro familiari o di terzi”.
Con riguardo agli assetti organizzativi e alle cariche sociali, tutti gli amministratori delle ODV devono essere scelti all’interno della compagine associativa e ad essi non può essere attribuito alcun compenso; per le attività di interesse generale svolte dalle ODV, esse possono ricevere soltanto il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate. Viceversa, non si rilevano disposizioni analoghe a carico delle APS.
Anche relativamente alle imposte indirette e al regime fiscale, ODV e APS pur differenziandosi entrambe dalla generalità degli altri ETS, in virtù di alcune disposizioni comuni (art. 86), sono tuttavia destinatarie di disposizioni specifiche per ciascuna tipologia (art. 82 comma 3, art. 84, art. 85).
In sintesi, queste differenziazioni presenti nella normativa del Codice del Terzo settore, ODV e APS, quali enti a disciplina particolare, oltre ad essere accomunate da taluni elementi di similitudine, divergono tra loro per caratteristiche e per la presenza di disposizioni specifiche.
Tra le caratteristiche comuni, la necessaria prevalenza delle attività svolte volontariamente dagli associati e la connessa individuazione, per entrambe, di limiti al ricorso a prestazioni lavorative retribuite, disposizioni non rinvenibili nella disciplina degli altri enti.
Nel quadro normativo complessivo sopra analizzato, la disposizione che consente alle APS di avvalersi delle prestazioni lavorative retribuite dei propri associati, collocata all'art. 36 e quindi avente carattere speciale, non è presente nella corrispondente disciplina relativa alle ODV (art. 33, ugualmente avente carattere speciale).
Se il legislatore avesse voluto disciplinare uniformemente le due situazioni avrebbe avuto davanti a sé due strade: tanto prevedere in entrambi i casi la facoltà, quanto in entrambi i casi ometterla: in entrambe le ipotesi, la lettura sarebbe stata la stessa per entrambi gli istituti.
Dato che così non è stato, in quanto solo nell'articolo 36 risulta presente la disposizione facoltizzante, il ricorso all’analogia risulta forzato e non praticabile sulla base di una lettura che tenga conto della logica e della specialità di ciascuno dei due istituti.
In conclusione, ci dice il Ministero del Lavoro, non risulta legittimata, stante la differente formulazione delle relative disposizioni, la piena equiparazione dei due regimi.
Con riferimento invece ai restanti enti del Terzo settore, il silenzio del legislatore assume un significato ancora diverso: se nel caso di APS e ODV il legislatore ha posto limiti e vincoli alla possibilità di avvalersi del lavoro retribuito degli associati, nulla prevedendo con riferimento alle altre tipologie di enti, anche a disciplina particolare, deve ritenersi che nei confronti di tali tipologie trovi spazio il generale principio di autonomia degli enti all’interno dei limiti stabiliti dalla legge.
Entrambe hanno forma giuridica necessariamente associativa; per entrambe sono previste analoghe limitazioni relativamente alla tipologia di enti che possono accedere alle rispettive basi associative, così da garantire una prevalente omogeneità tra la qualificazione delle stesse e quelle dei relativi enti aderenti; per entrambe (e solo per esse), nell’ambito delle associazioni del Terzo settore, è posto l’ulteriore requisito della necessaria prevalenza dell’operare volontario delle persone associate o di quelle associate agli enti che ad essi aderiscono; solo per esse, conseguentemente, opera il limite al ricorso di prestazioni retribuite. Deve dedursene, nella logica sistematica prima richiamata, che in tali tipologie, diversamente da quanto previsto per gli altri ETS, la presenza dei volontari è necessaria e non soltanto eventuale. La regola generale è infatti che gli ETS “possono” avvalersi di volontari (art. 17 comma 1), mentre la regola specifica, comune ad entrambe, è che le stesse debbano avvalersene, nell’operare, “in modo prevalente”.
In altri enti a disciplina specifica, le imprese sociali, collocate all’estremo opposto di una ideale linea sulla quale collocare le varie tipologie di enti, la regola è ribaltata: le imprese sociali “possono” avvalersi di volontari, ma il numero degli stessi non può superare quello dei lavoratori; rispetto alle prestazioni di questi ultimi, inoltre, le prestazioni dei volontari devono mantenere caratteri di complementarità e non sostituibilità (art. 13 comma 2 del d.lgs. n.112/2017).
Oltre agli elementi che accomunano ODV e APS rispetto ai restanti ETS, deve prestarsi attenzione alle distinzioni tra le due tipologie poste dal Codice.
Con specifico riguardo ai limiti numerici posti dal Codice, nel caso delle ODV il limite è unico (rapporto dipendenti/volontari); per le APS vi è la possibilità di far riferimento al rapporto dipendenti/volontari o in alternativa al rapporto dipendenti/associati.
Le ODV svolgono le proprie attività “prevalentemente in favore di terzi”, le APS possono operare indifferentemente “in favore dei propri associati, di loro familiari o di terzi”.
Con riguardo agli assetti organizzativi e alle cariche sociali, tutti gli amministratori delle ODV devono essere scelti all’interno della compagine associativa e ad essi non può essere attribuito alcun compenso; per le attività di interesse generale svolte dalle ODV, esse possono ricevere soltanto il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate. Viceversa, non si rilevano disposizioni analoghe a carico delle APS.
Anche relativamente alle imposte indirette e al regime fiscale, ODV e APS pur differenziandosi entrambe dalla generalità degli altri ETS, in virtù di alcune disposizioni comuni (art. 86), sono tuttavia destinatarie di disposizioni specifiche per ciascuna tipologia (art. 82 comma 3, art. 84, art. 85).
In sintesi, queste differenziazioni presenti nella normativa del Codice del Terzo settore, ODV e APS, quali enti a disciplina particolare, oltre ad essere accomunate da taluni elementi di similitudine, divergono tra loro per caratteristiche e per la presenza di disposizioni specifiche.
Tra le caratteristiche comuni, la necessaria prevalenza delle attività svolte volontariamente dagli associati e la connessa individuazione, per entrambe, di limiti al ricorso a prestazioni lavorative retribuite, disposizioni non rinvenibili nella disciplina degli altri enti.
Nel quadro normativo complessivo sopra analizzato, la disposizione che consente alle APS di avvalersi delle prestazioni lavorative retribuite dei propri associati, collocata all'art. 36 e quindi avente carattere speciale, non è presente nella corrispondente disciplina relativa alle ODV (art. 33, ugualmente avente carattere speciale).
Se il legislatore avesse voluto disciplinare uniformemente le due situazioni avrebbe avuto davanti a sé due strade: tanto prevedere in entrambi i casi la facoltà, quanto in entrambi i casi ometterla: in entrambe le ipotesi, la lettura sarebbe stata la stessa per entrambi gli istituti.
Dato che così non è stato, in quanto solo nell'articolo 36 risulta presente la disposizione facoltizzante, il ricorso all’analogia risulta forzato e non praticabile sulla base di una lettura che tenga conto della logica e della specialità di ciascuno dei due istituti.
In conclusione, ci dice il Ministero del Lavoro, non risulta legittimata, stante la differente formulazione delle relative disposizioni, la piena equiparazione dei due regimi.
Con riferimento invece ai restanti enti del Terzo settore, il silenzio del legislatore assume un significato ancora diverso: se nel caso di APS e ODV il legislatore ha posto limiti e vincoli alla possibilità di avvalersi del lavoro retribuito degli associati, nulla prevedendo con riferimento alle altre tipologie di enti, anche a disciplina particolare, deve ritenersi che nei confronti di tali tipologie trovi spazio il generale principio di autonomia degli enti all’interno dei limiti stabiliti dalla legge.
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