PAROLA DELLA CORTE COSTITUZIONALE: "costituzionalmente tollerabile ab origine, la misura del blocco delle azioni esecutive contro le ASL per la pandemia è divenuta sproporzionata e irragionevole ed ha leso il diritto di tutela giurisdizionale ex art. 24 Cost."
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 236 del 7 dicembre 2021, investita della questione di legittimità costituzionale con riferimento al blocco delle azioni esecutive nei confronti delle Aziende Sanitarie Locali per la pandemia, ha ritenuto legittima l’iniziale misura adottata con l’art. 117, comma 4, del d.l. n. 34 del 2020 che ha stabilito che, «al fine di far fronte alle esigenze straordinarie ed urgenti derivanti dalla diffusione del COVID-19 nonché per assicurare al Servizio sanitario nazionale la liquidità necessaria allo svolgimento delle attività legate alla citata emergenza, compreso un tempestivo pagamento dei debiti commerciali», nei confronti degli enti del Servizio sanitario nazionale «non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive» (primo periodo); «i pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle regioni agli enti del proprio Servizio sanitario regionale effettuati prima della data di entrata in vigore del presente provvedimento non producono effetti dalla suddetta data e non vincolano gli enti del Servizio sanitario regionale e i tesorieri», i quali possono quindi disporre delle relative somme per le finalità di gestione dell’emergenza sanitaria e il pagamento dei debiti (secondo periodo); «le disposizioni del presente comma si applicano fino al 31 dicembre 2021» (terzo periodo).
Su quest’ultimo periodo ha inciso, poi, la modifica apportata dall’art. 3, comma 8, del d.l. n. 183 del 2020, che alla scadenza originaria del 31 dicembre 2020 ha sostituito quella del 31 dicembre 2021.
La Corte ha avuto modo di pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di alcune disposizioni di sospensione delle procedure esecutive, emanate nell’ambito della legislazione emergenziale seguita al diffondersi della pandemia da COVID-19 ed ha ribadito che la tutela in executivis è componente essenziale del diritto di accesso al giudice, sicché la sospensione delle procedure esecutive deve costituire un evento eccezionale, sorretto da un ragionevole bilanciamento tra i valori costituzionali in conflitto.
Se l’irrompere dell’emergenza pandemica da COVID-19 può aver giustificato in una prima fase il sacrificio dei creditori procedenti sulla base di un criterio applicativo «a maglie larghe», la proroga della misura nelle fasi successive avrebbe richiesto da parte del legislatore una riedizione e un affinamento del bilanciamento sotteso alla misura, poiché la sua invarianza cristallizza un pregiudizio individuale che dovrebbe essere invece strettamente limitato nel tempo.
Lo svuotamento legislativo degli effetti di un titolo esecutivo giudiziale non è compatibile con l’art. 24 Cost. se non è limitato ad un ristretto periodo temporale ovvero controbilanciato da disposizioni di carattere sostanziale che garantiscano per altra via l’effettiva realizzazione del diritto di credito.
In difetto di queste cautele, la disposizione legislativa vulnera il diritto di azione e si risolve altresì – come osserva la sentenza n. 186 del 2013 della stessa Corte Costituzionale – in uno «ius singulare che determina lo sbilanciamento fra le due posizioni in gioco, esentando quella pubblica, di cui lo Stato risponde economicamente, dagli effetti pregiudizievoli della condanna giudiziaria, con violazione del principio della parità delle parti di cui all’art. 111 Cost.».
Pertanto, l’originaria durata del “blocco” delle esecuzioni e dell’inefficacia dei pignoramenti disposti dall’art. 117, comma 4, del d.l. n. 34 del 2020 era contenuta in poco più di sette mesi, dall’entrata in vigore del 19 maggio 2020 fino al 31 dicembre dello stesso anno e si esauriva quindi nella prima fase dell’emergenza pandemica da COVID-19 – quella più acuta e destabilizzante – allorché una sospensione indistinta e generalizzata delle procedure esecutive nei confronti degli enti sanitari poteva dirsi ragionevole e proporzionata, «per agevolare una regolare programmazione e gestione amministrativa e contabile dei pagamenti», come si esprime la relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del d.l. n. 34 del 2020.
Nonostante l’evoluzione dell’emergenza sanitaria e la
possibilità di ricalibrare su di essa la programmazione di cassa, l’art. 3, comma 8, del d.l.
n. 183 del 2020 ha prorogato la misura in danno dei creditori per un intero anno senza alcun
aggiornamento della valutazione comparativa tra i loro diritti giudizialmente
accertati e gli interessi dell’esecutato pubblico.
In tal
modo, gli effetti negativi della protrazione del “blocco” delle esecuzioni
sono stati lasciati invariabilmente a carico dei creditori, tra i quali pure possono
trovarsi anche soggetti cui è stato riconosciuto un risarcimento in quanto gravemente
danneggiati nella salute o operatori economici a rischio di espulsione dal mercato.
Costituzionalmente tollerabile ab origine, la misura è divenuta sproporzionata e irragionevole per effetto di una proroga di lungo corso e non bilanciata da una più specifica ponderazione degli interessi in gioco, che ha leso il diritto di tutela giurisdizionale ex art. 24 Cost. nonché, al contempo, la parità delle parti e la ragionevole durata del processo esecutivo, con conseguente illegittimità costituzionale dell'art.3, comma 8, del decreto legge 31 dicembre 2020, n. 183, convertito con modificazioni nella legge 26 febbraio 2021, n. 21.
Dunque, nessuna proroga del blocco delle azioni esecutive nei confronti degli enti sanitari in virtù della pandemia.
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