Imposta di registro su sentenza che accerta la misura dell’indennità di esproprio. Proporzionale o fissa? Dipende dal natura giuridica del contribuente.

 

 

     Con riferimento alle sentenze emanate in unico grado dalla Corte d’appello in materia di determinazione dell’indennità di esproprio, l’Agenzia delle Entrate chiede, indiscriminatamente, al contribuente l’imposta di registro sulla sentenza nella misura proporzionale del 3%, spesso raggiungendo somme considerevoli di accertamento.

    Invero, gli Uffici Finanziari smentiscono loro stessi.

    Il Ministero delle Finanze, nella Risoluzione 430409 del 1990, ha avuto modo di specificare che «la quota dovuta ad integrazione dell'indennità di esproprio deve essere assoggettata regolarmente ad IVA, configurandosi quale parte del corrispettivo di una cessione, imponibile ai sensi dell'art. 2 del D.P.R. 26.10.72 n. 633, posta in essere da un soggetto d'imposta». 

    Ai fini IVA, l’indennità di esproprio per pubblica utilità, ancorché costituisca un risarcimento conseguente alla perdita del bene da parte del soggetto ablato, in presenza del presupposto oggettivo in capo al cedente dà origine ad un’operazione imponibile, attesane la qualificazione giuridica di cessione di beni (Ris. A/E 3 giugno 2005, n. 73/E).

    Gli atti di esproprio di terreni edificabili (e comunque di qualsiasi altro bene mobile o immobile) ai fini Iva sono da considerarsi cessioni di beni, ai sensi dell’art. 2, comma 1, del citato Decreto, e l’indennità ne rappresenta il corrispettivo. Di conseguenza, come chiarito anche dalla Risoluzione Mef. n. 344477/84, ove sussistono gli altri requisiti (soggettivo ed oggettivo), tali atti sono da assoggettare ad Iva.

    Tanto dovrebbe bastare ad evitare l’assoggettamento delle sentenze, che quantificano tali importi dovuti a titolo di indennità, ad ulteriore tassazione proporzionale e non in misura fissa, nel rispetto del principio di alternatività della tassazione.

    Invece, l’Agenzia delle entrate, con notifiche che spesso colpiscono solo il contribuente e non i Comuni e/o gli enti esproprianti (come a dire, oltre al danno del proprietario espropriato dei propri beni, anche la beffa…!), continua a richiedere a soggetti che rientrino tra le società commerciali, l’imposta di registro in misura proporzionale e non fissa.

    Invero, la Commissione Tributaria di Roma, con il patrocinio dello studio, con la sentenza n. 3107/2020 del 5 marzo 2020, si è pronunciata in senso contrario al comportamento dell’Agenzia, riconoscendo, nel caso di una società di capitali, che la medesima soggiace, per il combinato disposto di cui agli artt. 40 e 8 Parte I Tariffa DPR 131186, e per le ragioni sopra esposte, alla tassa fissa di Registro.”

A distanza di due mesi dalla citata sentenza, questo studio si trova a dover nuovamente ricorre alla Commissione Tributaria in difesa di una diversa società assistita, per i medesimi motivi e per la medesima pretesa tributaria da parte dell’Agenzia delle Entrate.


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