Normativa 231/2001 e Enti del Terzo Settore. Quale obbligo?
Con riferimento all’applicazione del d.lgs. 231/2001 agli Enti del Terzo Settore, esso va messo in stretta correlazione con la normativa del Terzo Settore, non fosse altro per il fatto che il Codice del Terzo Settore, pur non avendo esplicitato un vero e proprio obbligo di adozione del modello da parte degli Enti in esso ricompresi fa esplicito richiamo al d.lgs. 231/2001 quando, all’art. 30, prevede la nomina dell’organo di controllo[1], il quale, esplicitamentevigila sull'osservanza della legge e dello statuto e sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, anche con riferimento alle disposizioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.
Tale affermazione non appare, come detto, segnare un obbligo di adozione dei modelli 231/2001 all’interno degli enti del Terzo Settore, ma crea sicuramente un forte nesso fra le due normative.
L’interpretazione che può essere data alla norma, per come esplicitata, appare duplice: da un lato, in un’ottica di non proliferazione degli organismi di controllo all’interno degli enti, racchiudere in questo unico organismo di controllo, previsto dalla normativa del Terzo Settore, anche la vigilanza sull’osservanza sul rispetto dei principi anche con riferimento alle disposizioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.
Invero, tale interpretazione, più facilitante sul lato pratico ed operativamente più semplice, non appare coerente con la normativa cui il d.lgs. 231 del 2001 e, soprattutto, non realizza gli scopi della normativa stessa.
Infatti, il d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 ha introdotto nell’ordinamento italiano uno speciale modello di responsabilità, formalmente amministrativa a carico degli enti giuridici, per reati commessi, nel loro interesse o vantaggio, da persone che rivestono, presso detti enti, una posizione apicale o che siano comunque subordinate a queste ultime.
I destinatari del Decreto Legislativo n. 231/2001 sono individuati all’art. 1 e si identificano con gli enti forniti di personalità giuridica e con le società e associazioni anche prive di personalità e non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzione di rilievo costituzionale.”
Dal tenore letterale della norma possono evincersi, chiaramente, gli intenti del Legislatore che, da un lato, utilizzando l’espressione “enti ” piuttosto che “persone giuridiche ” ricomprende nel novero dei soggetti passibili di responsabilità ex decreto 231 anche quelli privi di personalità giuridica; dall’altro lato emerge, ancor più chiaramente, la volontà di escludere dai destinatari di detta disciplina tutti quei soggetti giuridici, che rivestono un ruolo di carattere pubblico: oltre allo Stato e gli enti pubblici territoriali (regioni, provincie, comuni) anche gli enti pubblici non economici e gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.
Ma ciò che più conta è lo scopo finale della norma: l’esenzione dalla responsabilità “amministrativa” dell’ente nel caso in cui sia stato adottato un modello idoneo, rispondente alla realtà del soggetto ed in essa completamente calato ed adeguato.
Non risulta che la norma del Codice del Terzo Settore abbia inteso, con il richiamo al d.lgs. 231/2001, riconoscere alla vigilanza esercitata in tal senso il valore esaustivo del rispetto della norma, con conseguente esenzione di responsabilità dell’ente.
Ciò che sembra voler fare la norma prevista dal Codice del Terzo Settore è avvicinare l’organismo di controllo di tali enti alla verifica dei principi generali in materia di 231/2001, anche laddove, per i piccoli enti del Terzo Settore, possa non essere necessario o indispensabile nominare l’Organismo di Vigilanza ex d.lgs. 231/2001, così stabilendo un nesso di attenzione e di sensibilità per quella normativa anche nell’ambito del Terzo Settore.
Con particolare riferimento agli enti del terzo settore, operanti nell’ambito dei servizi sociali, va sottolineato che, con interpretazione estensiva, l’ANAC[2] ha avuto modo di ribadire che la normativa di cui al d.lgs. 231/2001 è applicabile agli enti del terzo settore in ragione, sia del tenore letterale delle relative previsioni, rivolte agli enti forniti di personalità giuridica, alle associazioni anche prive di personalità giuridica e alle società private concessionarie di un pubblico servizio sia della natura dei servizi erogati.[3]
Pertanto, essendo difficile revocare in dubbio l’applicabilità della normativa di cui alla 231 del 2001, che disciplina la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica e prevede, quale esimente da responsabilità, proprio l’adozione di modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati, non sussistono dubbi circa la necessità e “l’opportunità” di adozione di un modello 231/2001 da parte degli Enti del Terzo Settore, soprattutto se di dimensioni considerevoli e con importante patrimonio da tutelare, vieppiù sulla scorta di quanto indicato dall’ANAC, come obbligatorio per gli enti che partecipino a gare e/o ad affidamenti di servizi sociali, essendo, in tal caso, onere delle stazioni appaltanti verificarne l’osservanza da parte degli organismi no-profit.
[1] Nelle fondazioni del Terzo settore deve essere nominato un organo di controllo, anche monocratico. Nelle associazioni, riconosciute o non riconosciute, del Terzo settore, la nomina di un organo di controllo, anche monocratico, è obbligatoria quando siano superati per due esercizi consecutivi due dei seguenti limiti: a) totale dell'attivo dello stato patrimoniale: 110.000,00 euro; b) ricavi, rendite, proventi, entrate comunque denominate: 220.000,00 euro; c) dipendenti occupati in media durante l'esercizio: 5 unità.
[2] Con la delibera n. 32/2016 l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha specificato che “devono dotarsi di un modello di organizzazione di cui al d.lgs. 231/2001 e procedere alla nomina di un organismo deputato alla vigilanza sul funzionamento e sull’osservanza del modello e all’aggiornamento dello stesso”. Il modello, secondo la delibera, dovrà prevedere: l'individuazione delle aree a maggior rischio di compimento di reati; la previsione di idonee procedure per la formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente nelle attività definite a maggior rischio di compimento di reati; l'adozione di modalità di gestione delle risorse economiche idonee ad impedire la commissione dei reati; la previsione di un appropriato sistema di trasmissione delle informazioni all'organismo di vigilanza; la previsione di misure di tutela dei dipendenti che denunciano illeciti; l'introduzione di sanzioni per l'inosservanza dei modelli adottati e, infine, la nomina di un Organismo di Vigilanza che garantisca il funzionamento, l'osservanza e il costante aggiornamento del Modello. Sull’Organismo di Vigilanza il provvedimento dell’A.N.AC. aggiunge altresì "prevedere ed attuare adeguate forme di controllo sull’operato dell’organismo medesimo”.
[3] Con la citata delibera ANAC fornisce delle indicazioni specifiche per l’affidamento di servizi agli enti del terzo settore ed alle cooperative sociali.
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