No all’ottemperanza per le sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo!
Il Consiglio di Stato ha ribadito, con sentenza 11 giugno 2015, n. 2866 quanto contenuto nella sentenza del Tar Lazio n. 9564 del 9 settembre 2014, in merito all’inammissibilità dello strumento dell’ottemperanza nei confronti dello Stato Italiano delle sentenze emessa dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Tali pronunce – si legge in sentenza – non sono contemplate tra i titoli per l’esecuzione dei quali può essere proposta, ai sensi dell’art. 112 codice del processo amministrativo, azione di ottemperanza poiché non può dedursi un ampliamento di tale nozione di titolo solo per ragioni storiche e sistematiche, ma soprattutto perché gli strumenti di adeguamento a decisioni dei giudici non nazionali trovano compiuta regolamentazione in altri settori dell’ordinamento, come la legge 31 maggio 1995, n. 218 (normativa cardine del diritto internazionale privato).
La sentenza, dopo aver chiarito la posizione del giudizio di ottemperanza rispetto alle sentenze della CEDU, al fine di fugare ogni ulteriore dubbio (qualora a qualcuno venisse ancora voglia di trovare un modo più celere per l’esecuzione dei diritti!!!) sul fatto che sia praticabile l’ottemperanza trattandosi di natura meramente pecuniaria della condanna, ricorda che le decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, spesso caratterizzate da contenuti molto maggiori, diventano esecutive nel territorio nazionale a seguito dell’apposita procedura di cui al D.P.R. 2 dicembre 1960 n. 1824.
Pertanto, poiché “lo spontaneo adempimento degli Stati è il modulo operativo tipico delle giurisdizioni internazionali, non incidendo le violazioni della Convenzione e/o dei suoi protocolli, direttamente nell’ordinamento giuridico dello Stato convenuto, tali sentenze vincolano, sul piano internazionale appunto, soltanto quest’ultimo a conformarvisi. ( Cass. 16 maggio 2013 n. 11826).
Nel sistema CEDU, nessuna norma riconosce efficacia esecutiva diretta alle sentenze della Corte all’interno degli Stati membri, a differenza del regime previsto dagli articoli 244 e 256 TUE per le sentenze della Corte di Giustizia.
Ciò non di meno, a carico degli Stati che abbiano commesso una violazione accertata dalla Corte, sussiste l’obbligo di adottare misure specifiche volte al superamento della stessa, ai sensi dell’art. 46, paragrafo 1, CEDU.
Si può parlare di efficacia esecutiva “indiretta” delle sentenze perché esse obbligano gli Stati ad adeguarvisi, pur lasciandoli liberi di scegliere le misure più idonee al riguardo.
L’adozione di tali misure non è però svincolata da controllo: la supervision of execution è infatti affidata al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, il quale a mezzo dell’apposito Servizio incardinato presso il suo Segretariato ed a mezzo di specifiche Raccomandazioni ai Paesi membri, è chiamato a verificare che siano stati rimossi gli effetti della violazione persistenti sulla persona che li ha denunciati; che non si prospetti la possibilità che vengano ripetute violazioni analoghe da parte dello Stato condannato e, ove lo ritenga opportuno, può chiedere che quest’ultimo adotti misure finalizzate ad eliminare questo pericolo. Il Comitato dei ministri è inoltre chiamato a verificare che sia avvenuto il pagamento della somma riconosciuta a titolo di “equa soddisfazione”. A tale organo, dunque, viene affidato il monitoraggio dello stato di attuazione dei judgements della Corte e, in quest’ottica, esso instaura una collaborazione stretta con lo Stato destinatario della pronuncia, al quale può richiedere informazioni circa le misure ed i tempi previsti per la loro esecuzione.
Laddove lo Stato risulti gravemente inadempiente, il Comitato può, quale extrema ratio, decidere di sospenderlo dalla rappresentanza nel Consiglio d’Europa o di invitarlo a ritirarsi.
Si allontana. Si allontana sempre di più la tutela del cittadino. Quello Italiano e ora anche quello europeo.
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