Danno da morte del figlio: la relazione affettiva concreta differenzia la misura del risarcimento danni fra il figlio e il feto.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 12717 del 2015 ha rinviato alla Corte d'appello di Roma la sentenza resa nell'ambito di un giudizio di risarcimento danni per figlio nato morto.
 La Corte ha ritenuto fondata la censura relativa alla quantificazione del risarcimento.
Sul punto, la sentenza impugnata risultava insufficientemente motivata in quanto non ha adeguatamente spiegato la ragione per cui ha applicato i valori elaborati per la perdita di un figlio all’ipotesi della morte di un feto (pur maturo e prossimo alla nascita) e, per di più, ha dichiarato di dover applicare una ‘maggiorazione’ sulla base di considerazioni (“avendo il caso di specie caratteristiche di speciale odiosità per l’ostinata ed irritante inerzia dei sanitari che è stata la causa di un evento così drammatico”) che finiscono con l’attribuire al risarcimento una funzione ‘punitiva’, che è del tutto estranea al nostro ordinamento.
La Corte nel sottolineare che il danno non patrimoniale non può che essere liquidato in via equitativa e che tale valutazione ha da tempo trovato un utile parametro di riferimento nelle note tabelle che sono state elaborate dagli uffici giudiziari per assicurare una tendenziale omogeneità di trattamento fra situazioni analoghe; com’è noto, al fine di assicurare il massimo grado di uniformità, la stessa Cassazione è giunta a riconoscere alle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano valenza generale di “parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 cod. civ., salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono” (Cass. n. 12408/2011).
Con specifico riferimento al danno per perdita del rapporto parentale, le tabelle milanesi prevedono – con riferimento ai vari possibili rapporti di parentela – una forbice che, nel caso di danno subito dal genitore per la morte di un figlio, oscillava (nell’edizione 2011, applicabile al momento in cui venne emessa la sentenza impugnata) fra 154.350,00 e 308.700,00 Euro; per quanto emerge dai “criteri orientativi” che illustrano la tabella, tale forbice consente di tener conto di tutte le circostanze del caso concreto, ivi compresa la “qualità ed intensità della relazione affettiva che caratterizzava il rapporto parentale con la persona perduta”.
Se ciò è vero, deve allora ritenersi che, anche a voler assimilare – come ha fatto la Corte romana – la situazione del feto nato morto al decesso di un figlio, non può tuttavia non considerarsi che per il figlio nato morto è ipotizzabile soltanto il venir meno di una relazione affettiva potenziale (che, cioè, avrebbe potuto instaurarsi, nella misura massima del rapporto genitore-figlio, ma che è mancata per effetto del decesso anteriore alla nascita), ma non anche di una relazione affettiva concreta sulla quale parametrare il risarcimento all’interno della forbice di riferimento.
A parere della Cassazione la Corte di merito ha omesso di motivare adeguatamente in ordine all’applicazione tout court dei valori tabellari previsti per la perdita del rapporto parentale e al riconoscimento di un importo che si attesta sui valori più elevati della forbice risarcitoria.
Quanto al secondo profilo, che ha comportato un'ulteriore maggiorazione giustificata dalla "speciale odiosità" del fatto, essa non appare naturalmente corretta; premesso, infatti, che “è incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto dei danni punitivi” (Cass. n. 1781/2012, che precisa: “il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non è riconosciuto con caratteristiche e finalità punitive – restando estranea al sistema l’idea della punizione e della sanzione del responsabile civile ed indifferente la valutazione a tal fine della sua condotta – ma in relazione all’effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso”), deve ritenersi che la gravità della condotta può – tutt’al più – assumere rilevanza indiretta nella misura in cui abbia aggravato le conseguenze dell’illecito (come nel caso di aggravamento della sofferenza psichica che ne abbia risentito il danneggiato), ma non è idonea a giustificare – di per sé sola – un incremento dell’importo risarcitorio.

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