Legittimazione degli eredi per il danno da irragionevole durata del processo

Il procedimento previsto dalla c.d. Legge Pinto, volto al conseguimento di una forma di indennizzo connessa ad una durata non ragionevole dei processi presenta alcune specifiche rispetto alla legittimazione degli eredi.Infatti, in relazione alla legittimazione attiva degli eredi, si osserva che la Corte Suprema ha costantemente ritenuto che la domanda di equo indennizzo, avanzata dagli eredi in relazione al corso del procedimento svoltosi dopo il decesso del loro dante causa, deve disattendersi ove gli stessi non abbiano assunto, a loro volta, la qualità di parte in quello stesso procedimento (Cass. 26686/2006 e 2983/2008).Tutto ciò rilevato e posto qualora gli eredi non abbiano assunto la qualità di parte del procedimento deve escludersi, alla luce della richiamata giurisprudenza che ricorra il presupposto stesso per il riconoscimento dell’equa riparazione iure proprio. Gli eredi sono, invece, legittimati, "iure hereditatis", a proporre la domanda di equa riparazione per reclamare quanto, a titolo di danno non patrimoniale, sarebbe spettato al "de cuius", parte nel processo presupposto del quale si lamenta la non ragionevole durata (Cass. civ., 20 giugno 2006, n. 14284).In relazione ai diritti dell’erede per l’irragionevole durata del processo qualora la parte già costituitasi in giudizio sia deceduta nelle more del procedimento, la Cassazione ha ribadito (Cass. Civ., Sez. I, n. 13803 del 26 giugno 2011) che ai sensi della l. n. 89/2001, qualora la parte costituita in giudizio sia deceduta anteriormente al decorso del termine di ragionevole durata del processo, l’erede ha diritto al riconoscimento dell’indennizzo, iure proprio, soltanto per il superamento della predetta durata verificatosi con decorrenza dal momento in cui, con la costituzione in giudizio, ha assunto a sua volta la qualità di parte; infatti non assume alcun rilievo, a tal fine, la continuità della sua posizione processuale rispetto a quella del dante causa, prevista dall’art. 110 c.p.c., in quanto il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in norme nazionali dalla legge non si fonda sull'automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi modulabili in relazione al concreto patema subito, il quale presuppone la conoscenza del processo e l'interesse alla sua rapida conclusione. In luogo di una liquidazione complessiva, priva di qualsiasi specificazione, dovrà procedersi a una ricostruzione analitica delle singole posizioni delle parti del processo, senza escludere la possibilità di un cumulo fra danno morale sofferto da una delle danti causa e, contemporaneamente, dall’erede nel frattempo intervenuto nel processo, in quanto non sussiste incompatibilità alcuna fra il pregiudizio da costui sofferto personalmente e quello che lo stesso soggetto fa valere iure successionis, in quanto già entrato a far parte del patrimonio del proprio dante causa.Infatti, come specificato dalla Corte di cassazione,  con sentenza 17 ottobre 2008, n. 25412, sostiene che l’indennità potrà essere conseguita in due modi: jure successionis, con riferimento a quanto dovuto al de cuius per l’eccessiva durata del processo e maturato sino al suo divenire parte in giudizio e che andrà diviso pro quota in base ai principi regolanti la successione; jure proprio per quanto attiene alla protrazione del processo successivamente al momento in cui gli eredi abbiano assunto lo status di parte processuale mediante costituzione nel giudizio e che se dovuto andrà interamente a ognuna delle parti. Secondo la Cassazione, si deve tenere conto del periodo decorrente dalla data della domanda (anche rispetto a processi introdotti prima dell’entrata in vigore della legge n. 89/2001) fino a quella del decesso dell’attore originario al quale tuttavia, in caso di mancata costituzione in giudizio dell’erede, non può essere cumulato il periodo di pendenza successivo al decesso, attesa la mancanza di una parte processuale attiva, danneggiata dalla violazione del termine di ragionevole durata del processo. Si veda altresì Corte di cassazione, Civile, Sezione I, 4 novembre 2009, n. 23416 che specifica come, qualora la parte costituita in giudizio sia deceduta anteriormente al decorso del termine di ragionevole durata del processo, l’erede abbia diritto al riconoscimento dell’indennizzo, iure proprio, soltanto per il superamento della predetta durata verificatosi con decorrenza dal momento in cui, con la costituzione in giudizio, egli abbia assunto la qualità di parte, non rilevando la continuità della sua posizione processuale rispetto a quella del dante causa, prevista dall’articolo 110 c.p.c. Ciò perché il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e recepito dall’Italia non si basa sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie indennizzatorie (modulabili in base al patema concretamente subìto) a beneficio di chi dal ritardo abbia conseguito un danno.In conclusione, emerge che l’erede potrà agire iure hereditatis per la parte di superamento delle “soglie di ragionevole durata” fino alla morte del “de cuius”, reclamando ciò che sarebbe spettato allo stesso e iure proprio, solo ove costituito in giudizio, con decorrenza proprio dal momento della costituzione in giudizio, senza che i due termini siano tra loro cumulabili.

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