La Corte Costituzionale dichiara l'illegittimità dell'art.4 della legge della Regione Sardegna 11 maggio 2006, n. 4: la c.d. tassa sul lusso.

La questione è stata sollevata con riferimento a diversi parametri costituzionali e, in particolare, all’art. 117, primo comma, della Costituzione, per violazione delle norme del Trattato CE relative alla tutela della libera prestazione dei servizi (art. 49), alla tutela della concorrenza (art. 81 «coordinato con gli art. 3, lett. g) e 10»), e al divieto di aiuti di Stato (art. 87): rispetto a tali parametri, il ricorrente ha richiesto che fosse effettuato il rinvio pregiudiziale di cui all’art. 234 del Trattato CE.
Ai sensi di tale ultimo articolo dell trattato, CE, il ricorrente ha chiesto alla Corte che venisse disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia CE, con la conseguenza che la Corte Costituzionale ha ritenuto di sollevare question pregiudiziale, ma solo con riguardo alle violazioni degli artt. 49 e 87 del Trattato CE (riservando invece al prosieguo del giudizio ogni decisione sulla violazione dell’art. 81), e, con la successiva ordinanza n. 103 del 2008, ha sospeso il procedimento e sottoposto alla Corte di giustizia CE, in via pregiudiziale, le questioni di interpretazione relative agli artt. 49 e 87 del Trattato CE.
Con la sentenza 17 novembre 2009, C‑169/08, la Corte di giustizia CE ha dichiarato che: «1) L’art. 49 CE deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una norma tributaria di un’autorità regionale, quale quella di cui all’art. 4 della legge della Regione Sardegna 11 maggio 2006, n. 4, recante disposizioni varie in materia di entrate, riqualificazione della spesa, politiche sociali e di sviluppo, nella versione risultante dall’art. 3, comma 3, della legge della Regione Sardegna 29 maggio 2007, n. 2, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione – Legge finanziaria 2007, la quale istituisce un’imposta regionale sullo scalo turistico degli aeromobili adibiti al trasporto privato di persone nonché delle unità da diporto che grava unicamente sulle persone fisiche e giuridiche aventi il domicilio fiscale fuori dal territorio regionale. 2) L’art. 87, n. 1, CE deve essere interpretato nel senso che una normativa tributaria di un’autorità regionale che istituisce un’imposta sullo scalo, quale quella di cui trattasi nella causa principale, la quale grava unicamente sulle persone fisiche e giuridiche aventi il domicilio fiscale fuori dal territorio regionale, costituisce una misura di aiuto di Stato a favore delle imprese stabilite su questo stesso territorio».
La Corte di Giustizia ha altresì sottolineato che "una disparità di trattamento tra residenti e non residenti costituisce una restrizione alla libera circolazione vietata dall’art. 49 CE qualora non sussista alcuna obiettiva diversità di situazione, rispetto all’imposta di cui è causa, tale da giustificare la disparità di trattamento tra le varie categorie di contribuenti. Ciò vale in particolare per l’imposta di cui trattasi nella causa principale, perché essa è dovuta per effetto dello scalo degli aeromobili adibiti al trasporto privato di persone e delle imbarcazioni da diporto e non in ragione della situazione finanziaria dei contribuenti interessati. Ne consegue che, indipendentemente dal luogo in cui risiedono o sono stabilite, tutte le persone fisiche o giuridiche che fruiscono dei servizi di cui trattasi sono in una situazione oggettivamente paragonabile con riguardo a detta imposta in relazione alle conseguenze per l’ambiente. Il fatto che le persone soggette all’imposta in Sardegna contribuiscano, attraverso il gettito generale e, in particolare, le imposte sui redditi, all’azione della Regione Sardegna per la tutela dell’ambiente è irrilevante ai fini del raffronto della situazione dei residenti e dei non residenti con riguardo all’imposta in questione, perché quest’ultima non ha la stessa natura e non persegue gli stessi obiettivi delle altre imposte corrisposte dai contribuenti sardi, che mirano segnatamente ad alimentare in modo generale il bilancio pubblico e, pertanto, a finanziare l’insieme delle azioni regionali".
In conclusione, secondo la Corte Costituzionale, dall’interpretazione della normativa comunitaria fornita dalla Corte di giustizia con tale pronuncia, consegue la declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione censurata.

La pronuncia della Corte, oltre che di estremo rilievo nel merito, poichè ha cancellato dall'ordinamento una norma palesemente discriminatoria ed irragionevole, mette in luce, ancora una volta, il ruolo di rilievo assunto dall'ordinamento comunitario nei giudizi di legittimità costituzionale. L'illegittimità della normativa, infatti, è stata dichiarata sulla base dell'art. 117 primo comma della Cost., che impone alla legislazione statale e regionale il rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario.
Così, di nuovo, le norme comunitarie, dotate di efficacia diretta nel nostro ordinamento, divengono "norma parametro" per la valutazione della conformità della normativa interna ai vincoli di cui all'art. 117 comma primo della Cost.


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