Affitti brevi e condominio: cosa si può (e non si può) vietare secondo la Cassazione

     


 Negli ultimi anni gli affitti brevi — attraverso piattaforme online — sono diventati una pratica diffusa anche nei condomini residenziali. Ma con la crescita del fenomeno sono aumentate anche le tensioni tra proprietari e vicini: chi teme il continuo via-vai di ospiti, chi lamenta rumori, chi teme una 'snaturazione' del contesto abitativo. La domanda è semplice, ma la risposta è tutt’altro che ovvia: un condominio può vietare gli affitti brevi?

    Il punto di partenza è il diritto di ciascun condomino di usare liberamente la propria unità immobiliare (art. 832 c.c.), nei limiti stabiliti dal regolamento condominiale e dal rispetto delle parti comuni (artt. 1117 ss. c.c.). Solo i regolamenti contrattuali, approvati da tutti i condomini o richiamati nei singoli atti di acquisto, possono limitare i diritti individuali di proprietà. In pratica: un semplice voto assembleare non basta per vietare a un condomino di affittare il proprio appartamento per brevi periodi.

    La Corte di Cassazione si è pronunciata più volte sul tema, delineando principi chiari e coerenti.

    In particolare, con la sentenza del 20 novembre 2014, n. 24707, ha chiarito che l’uso di un appartamento per locazioni brevi o per attività di bed & breakfast non muta la destinazione abitativa dell’immobile, salvo che il regolamento condominiale contrattuale lo vieti espressamente. Il semplice disagio percepito dagli altri condomini non è sufficiente a qualificare l’attività come illecita.

    Ancora, con la sentenza del 28 settembre 2017, n. 22711, la Suprema Corte ha specificato che i limiti al godimento della proprietà esclusiva devono risultare in modo chiaro e inequivocabile da un regolamento contrattuale. Un divieto generico, come quello di 'attività rumorose o contrarie al decoro', non basta a vietare gli affitti turistici o i B&B.

Inoltre, i divieti di destinazione imposti dal regolamento condominiale configurano vere e proprie servitù atipiche, opponibili ai singoli condomini solo se accettate nei rispettivi atti di acquisto. Il divieto di adibire gli appartamenti a 'case di alloggio' o strutture ricettive è efficace solo se accettato da tutti i proprietari.(Cass. civ., Sez. II, 8 ottobre 2019, n. 25139)

    La presenza in un regolamento contrattuale di una clausola che vieti la destinazione delle unità a 'case alloggio' o simili comprende anche le locazioni brevi a scopo turistico. In tali casi, il condominio può agire con azione confessoria di servitù per far valere il divieto. (Cass. civ., ord. 4 febbraio 2025, n. 2770 )

    Alla luce di questa giurisprudenza, un affitto breve può essere vietato o limitato solo se:

1) il regolamento contrattuale lo vieta espressamente (Cass. 2770/2025);
2) l’attività comporta molestie o turbative gravi, tali da integrare violazioni degli artt. 844 e 1102 c.c.;
3) si altera la destinazione urbanistica del fabbricato.
Nel caso contrario, l’affitto breve è lecito, anche se frequente.

Dunque, un regolamento approvato solo in assemblea non può impedire a un condomino di locare la propria casa a turisti. Serve un regolamento contrattuale, approvato all’unanimità o inserito nel titolo originario di proprietà. 

    Chi affitta per brevi periodi deve rispettare le regole condominiali generali (rumori, parti comuni, sicurezza), registrare i contratti, comunicare gli ospiti alla Questura e rispettare eventuali limiti comunali. In caso di contestazioni, è utile verificare la natura del regolamento condominiale e la correttezza delle delibere: una delibera che limiti un diritto individuale senza unanimità è impugnabile ex art. 1137 c.c.

    L’amministratore o il condominio possono agire se gli affitti brevi generano disturbo continuo o uso improprio delle parti comuni, se vengono violate le norme di sicurezza o di decoro, o se esiste una clausola contrattuale di divieto non rispettata. Si può tentare una mediazione o, in casi gravi, un’azione inibitoria o confessoria di servitù (Cass. 2770/2025).

    In conclusione, l’affitto breve è una forma legittima di reddito, ma il proprietario deve agire con responsabilità e rispetto della comunità condominiale. 

    La regola d’oro resta l’equilibrio tra libertà del singolo e quiete collettiva: l’una finisce dove inizia l’altra. Le decisioni della Cassazione richiamate offrono una bussola chiara per interpretare correttamente i confini tra diritto individuale e interessi collettivi.

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