Minori e consenso. Quando non serve il consenso dei genitori.

     


    Proseguendo nella disamina della fattispecie relativa al consenso del paziente minorenne e alla sua acquisizione da parte del genitore e/o dell'esercente la potestà sullo stesso, si specificano i casi in cui tale consenso non è necessario.

    Infatti, per alcuni atti sanitari il medico, su richiesta del minorenne, può procedere a prescindere dal consenso o dissenso e anche all'insaputa dei genitori o del tutore. Si tratta di casi previsti esplicitamente da legge.

In particolare:

  • accertamenti diagnostici, anche di laboratorio, e delle cure per malattie trasmesse sessualmente. art. 4 legge 25 luglio 1956, n. 837 sulla riforma della legislazione per la profilassi delle malattie veneree e artt. 9 e 14 del relativo regolamento di attuazione emanato con d.p.r. 27 ottobre 1962, n. 2056;
  • dei trattamenti di prevenzione, cura e riabilitazione della tossicodipendenza previsti dalla legge 22 dicembre 1975 n. 685 e poi dal DPR 9 ottobre 1990 n. 309. Soltanto nel caso in cui il medico accerti l'incapacità dell'interessato di comprendere il significato dell'accertamento o del trattamento da praticare, nonché le possibili conseguenze, l'intervento richiede necessariamente il consenso dei genitori la cui volontà, comunque, non prevale su quella del minore;
  • dell'interruzione della gravidanza e delle scelte in ordine alla procreazione responsabile (legge 27 maggio 1978 n. 194) per le quali la legge prevede che la minore possa accedere ai consultori per ottenere la prescrizione medica di esami, farmaci e dispositivi contraccettivi escludendo ogni ingerenza dei genitori e, anche per l'interruzione della gravidanza delle minori, prevede che "quando vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la potestà, oppure qualora queste, interpellate, rifiutino il loro assenso o esprimano pareri difformi" sia possibile far intervenire il giudice tutelare a sostegno della volontà della minore: la decisione sull'interruzione volontaria della gravidanza, entro i 90 giorni, è rimessa soltanto alla responsabilità della donna, anche se minore.
    Come evidente si tratta di casi nei quali, la cura e la prevenzione assumono carattere prevalente, che inducono il legislatore a favorire l'accesso del paziente minore alla cura, senza timore di ripercussioni genitoriali o di contrasto alle scelte, anche se del minore.

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