Obbligo vaccinale per il personale sanitario: ma davvero si può?



    L'art. 4, comma 1, del Decreto Legge n. 44 del 1° aprile 2021  ha previsto che “al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza”, la vaccinazione gratuita per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 costituisce requisito essenziale per l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati. Soggetti obbligati sono “gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario”.

    Sono esclusi dall'obbligo, in quanto non rientranti in dette due categorie, gli esercenti le arti ausiliarie delle professioni sanitarie e degli operatori di interesse sanitario, in cui sono inclusi i massaggiatori capi bagnini degli stabilimenti idroterapici, gli ottici, gli odontotecnici, le puericultrici nonché coloro che, in collaborazione e/o alle dipendenze degli esercenti le professioni sanitarie e degli operatori di interesse sanitario, svolgano prestazioni/mansioni di tipo diverso (ad es., amministrativo, commerciale).

    Per essere inclusi nell'obbligo vaccinale occorre che gli appartenenti alle predette categorie svolgano la loro attività “nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali”.

    L'obbligo persisterà fino alla completa attuazione del piano strategico nazionale dei vaccini (art. 1, comma 457, Legge 178 del 30 dicembre 2020) e comunque sarà valido fino a non oltre il termine del corrente anno.

    Restano, chiaramente, esentati dall'obbligo, in base al comma 2, coloro per i quali il medico di medicina generale accerti un “pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, dal medesimo medico attestate”. Ad essere precisi, la norma parla di vaccinazione che può essere, a seconda dei casi, del tutto omessa oppure differita. In conseguenza della mancata vaccinazione dei soggetti obbligati si giunge all'adozione “dell'atto di accertamento”, con il quale le Asl, previa raccolta e verifica dei dati inviati dagli Ordini professionali e invito ad adempiere, determinano la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni “che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2”, dal che si desume come l'atto amministrativo sia immediatamente diretto tanto ai professionisti (“prestazioni”) che ai dipendenti (“mansioni”).

    In conseguenza dell’atto di accertamento, i datori di lavoro (comma 8) sono tenuti ad adibire i dipendenti colpiti dalla sospensione a mansioni diverse, anche inferiori (e con trattamento corrispondente alle stesse), che in ogni caso non implichino il rischio di contagi. Nell'impossibilità di procedere a tale diversa attribuzione di mansioni, i datori sono tenuti a far osservare la sospensione dal lavoro/servizio dei dipendenti, non essendo in tal caso dovuti retribuzione o altro compenso/emolumento.

    Gli atti amministrativi di sospensione mantengono efficacia “fino all'assolvimento dell'obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021” (comma 9).

    Alcuni arresti nei Tribunali di merito anche prima dell’entrata in vigore della norma si erano orientati nel senso della correttezza dell’operato datoriale di adozione di misure specifiche, quali le ferie retribuite, in caso di mancata vaccinazione del lavoratore.

    Tanto in virtù del fatto che il datore di lavoro che gestisca una struttura sanitaria ha l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei suoi dipendenti, a ciò essendo obbligato dalla disposizione dell’art. 2087 c.c., norma secondo cui “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

    La permanenza nel luogo di lavoro di personale sanitario non vaccinato comporta, in capo al datore di lavoro, la violazione degli obblighi di cui al precitato art. 2087 c.c., stante la circostanza che il vaccino offerto costituisce misura idonea a tutelare l’integrità fisica degli individui a cui è somministrato, prevenendo l’evoluzione della malattia e che3 il rischio per il personale sanitario è concreto.

    L’adozione di misure da parte del datore di lavoro rispetto al personale non vaccinato rientra nella facoltà di gestione in capo al datore di lavoro, soprattutto nel caso della tutela all’integrità fisica dei prestatori di lavoro.

    Ora, con il decreto legge appena emanato, la vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese, senza il quale qualsiasi sospensione, allontanamento, modifica della condizioni lavorative appare assolutamente giustificata.

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