Un vuoto di sei ore nella compilazione della cartella clinica è uno svantaggio per coloro sui quali grava l'onere di annotazione e non per il paziente: il vuoto non fa presumere che non siano stati commessi errori dai sanitari

In coerenza con la giurisprudenza, ormai costante, in materia di compilazione della cartella clinica (Conformi: Cass. civ., sez. III, 12 giugno 2015, n. 12218; Cass. civ., sez. III, 27 aprile 2010, n. 10060; Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 2010, n. 1538; Cass. civ., sez. III, 18 settembre 2009, n. 20101; Cass. civ., sez. III, 21 luglio 2003, n. 11316) la Corte di Cassazione civile, con la sentenza n. 6209 del 31 marzo 2016, ha cassato con rinvio a nuovo giudizio in corte d'appello la sentenza che aveva ritenuto che non potesse ascriversi a responsabilità dei sanitari il fatto che, in occasione del parto, una neonata avesse riportato una tetraparesi e una grave insufficienza mentale, causate da asfissia perinatale, escludendo il nesso causale fra la condotta e il danno riportato.

La Cassazione, in applicazione dei principi di una responsabilità ancora contrattuale in capo alla struttura e ai sanitari convenuti in giudizio per casi di "malpractice" secondo i quali essi sono tenuti a fornire la prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa ad essi non imputabile (art.1218 c.c), ha ribadito che "la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può tradursi, sul piano processuale in un pregiudizio per il paziente (Cass.1538/2010) e che è anzi consentito il ricorso alle presunzioni in ogni caso in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato (Cass. 11316/2003-10060/2010)"
Nel caso di specie, le difficoltà incontrate dalla neonata al momento del parto avrebbero dovuto comportare un attento monitoraggio post-natale al fine di cogliere tempestivamente eventuali peggioramenti e assicurarne un intervento e non certo un vuoto di sei ore nelle annotazioni della cartella clinica, che non potevano significare una presunzione di assenza di errori commessi da parte dei sanitari.
La sentenza di corte d'appello, secondo la Cassazione, vìola il criterio secondo il quale la carente compilazione della cartella clinica non può tradursi in uno svantaggio processuale per il paziente anziché per la parte il cui difetto di annotazione è imputabile, costituendo un vulnus al criterio che onera la parte convenuta dalla prova liberatoria in merito all'esattezza del proprio adempimento.
Conseguentemente la sentenza è stata cassata con rinvio a nuovo giudizio di Corte d'appello per il nuovo esame della controversia alla luce dei principi sopra richiamati e delle discrasie evidenziate.



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